“Non ho voglia di niente”
“Niente mi soddisfa”
“Niente ha senso”
“Non mi interessa niente”
E l’elenco potrebbe essere lunghissimo, tanto più in questa fase particolare della nostra esistenza. I giorni scorrono uguali uno dopo l’altro, le domeniche assomigliano ai mercoledì, molti vivono in pigiama, i ritmi si sono allentati. Questo nichilismo, poi, è ancora più riscontrabile negli adolescenti che, nella loro ricerca dell’identità, possono incappare nell’attrazione che il nulla e il niente possono avere. Anche Pierre Anthon, tredicenne protagonista di questo libro, come una sorta di barone rampante, si apposta sul susino vicino a scuola filosofando in un modo che sarebbe caro a Nietzche: “Se niente ha senso, è meglio non fare niente piuttosto che qualcosa!”, grida un giorno. Questa è solo una delle sue frasi cavallo di battaglia e i compagni di classe, e da qui l’importanza del gruppo dei pari in adolescenza, tentano in tutti i modi, leciti e non, di dimostrargli che sta sbagliando. Iniziano pertanto una raccolta di oggetti che siano per ciascuno di loro densi di significato, al fine di dimostrare all’amico che ci sono cose importanti e che racchiudono in sé il senso dell’esistere. Questa raccolta procede in una degenerazione e in un’escalation cruda e terrificante. La legge del gruppo li fa proseguire anche mettendo a rischio la moralità, i valori, l’etica.
Quanto poi a un certo punto si passa dalla ricerca del significato a una sorta di vendetta per aver dovuto rinunciare a qualcosa cui si teneva davvero tanto?
Il lettore adulto può essere spiazzato da tanta crudeltà, anche se raccontata in un modo lineare come se fosse ordinaria (e forse proprio questo contrasto spiazza), che però fa da contraltare ad altrettanta fragilità. I protagonisti sono adolescenti, ma il pubblico cui “Niente” è destinato è necessariamente un pubblico adulto (testo anche censurato e oggetto di polemiche in Europa ai tempi della sua pubblicazione). Tratta dell’esistenza, della vita, del senso della vita, ma anche delle sue più profonde aberrazioni che però possono essere considerate fisiologiche durante l’adolescenza.
Tutto ciò per dire che un piccolo Pierre Anthon può abitare dentro di noi e porci in continuazione domande provocatorie sul senso dell’esistenza. Talvolta sarà più facile dimostrargli l’essenza del significato, talvolta invece sarà più difficoltoso e sarà necessario passare attraverso le fatiche del quotidiano, saperci stare senza scoraggiarsi, per infine dimostrare che tutto ha a suo modo un senso.
Così come i piccoli protagonisti del romanzo, ognuno di noi porta con sé un ricordo delle ceneri e delle ferite del percorso accidentato di crescita con la possibilità di aprirsi alla speranza e alla vita, perché insita in noi c’è la possibilità di rialzarsi, o da soli o aggrappandoci alla mano di chi ce la sta offrendo.