“E’ dunque normalissimo e comprensibile che l’investimento libidico, parzialmente insoddisfatto, tenuto in serbo con grande aspettativa dall’individuo, si rivolga anche alla persona del medico. In conformità con le nostre premesse, questo investimento si atterrà a certi modelli, procederà da uno dei cliché esistenti nella persona interessata, oppure, in altri termini, inserirà il medico in una delle “serie” psichiche che il paziente ha formato fino a quel momento”
(Sigmund Freud)
Quando si parla di transfert s’ intende il fenomeno attraverso il quale il paziente, all’interno della relazione clinica, riversa pulsioni, emozioni e sentimenti, che sono caratteristici di un’altra sua relazione, per esempio quella con i genitori.
Questo è un concetto prettamente di matrice psicodinamica / psicoanalitica dal momento che il primo a parlarne in modo diffuso ed approfondito è stato Freud, che riteneva il transfert come un ostacolo al proseguire della terapia. In seguito la sua teoria del transfert è mutata e ha capito che attraverso di esso è possibile trovare la strada per la guarigione. Il transfert può essere positivo, quando comprende sentimenti di affetto e amore, oppure negativo qualora emergano odio e pulsioni sessuali.
Il paziente pertanto proietta sul proprio terapeuta una gamma di emozioni e sentimenti che possono assumere tonalità diverse a seconda dei temi trattati, del momento storico, delle risposte e delle domande che vengono poste e in relazione alle modalità caratteristiche del paziente stesso nell’incontro con il terapeuta. Il paziente può vedere nel terapeuta una madre accogliente, un padre che redarguisce, un amico fidato, un capo esigente.. tutto questo produce emozioni che possono espandersi dalla tenerezza all’imbarazzo, dall’affetto alla vergogna, dall’amore all’odio. Ciò che il terapeuta può fare, insieme con il paziente, è non lasciare che questa modalità sia pervasiva ma aiutarlo a riconoscerla e usarla come guida per proseguire.
E cosa succede al terapeuta?
Il terapeuta non è un robot o un automa e pertanto anche lui sente emozioni nei confronti del paziente che ha davanti. E’ stato introdotto infatti il concetto di Controtransfert per indicare questo fenomeno che ha destato un dibattito ancora acceso. Freud riteneva che andasse eliminato e fosse segnale di un’impreparazione del terapeuta mentre invece Ferenczi sosteneva che non fosse un ostacolo, bensì l’esatto opposto ossia uno strumento prezioso nelle mani del terapeuta. Il controtransfert non va pertanto eliminato o messo a tacere ma padroneggiato con cura.
Padroneggiarlo non è semplice ma ci sono strumenti che il terapeuta può usare per poterlo fare in modo agevole e tra questi sicuramente una buona formazione, un percorso su di sè, la supervisione e l’intervisione costante, uniti all’elaborazione del materiale raccolto in seduta con riflessioni “a mente fredda”. Sostanzialmente è un lavoro che si fa fuori e dentro la stanza di terapia e che coinvolge il terapeuta non solo a livello cognitivo, ma soprattutto a livello emotivo.
Nell’approccio sistemico-relazionale si tende a non usare questa terminologia e a preferire il concetto di “risonanze”.
Si è passati da una “cibernetica di primo ordine” dove l’atteggiamento del terapeuta era molto distaccato e non si lasciava coinvolgere emotivamente, pena il buon esito della terapia stessa, a una “cibernetica di secondo ordine” o “cibernetica della cibernetica” dove l’osservatore (terapeuta) è esso stesso parte del sistema. Ackerman addirittura sostiene che è come se terapeuta e paziente (perlopiù famiglie) fossero “nello stesso letto” come metafora del fatto che il movimento di uno si trasmette inevitabilmente a tutti gli altri.
Nel sistema terapeutico circolano pertanto delle risonanze tra tutti i membri del sistema stesso, compreso ovviamente anche il terapeuta. In seduta (ed eventualmente anche dopo) il terapeuta ha il compito però di mettersi in una posizione meta (ossia nè completamente invischiato dentro, nè totalmente estraniato fuori) per vedere le dinamiche nel loro dispiegarsi. Il coinvolgimento emotivo reciproco è la chiave sia per l’ingaggio terapeutico e quindi per l’innesco della relazione, sia per il buon esito del percorso.
Come sostiene McQuire la psicoterapia è “una guarigione mediante l’amore”. Lo psicologo non prescrive farmaci e ciò che cura è la relazione terapeutica stessa e ciò che si produce in seduta: dialoghi, riflessioni, connessioni, narrazioni etc.. Ovviamente poi il tempo tra una seduta e l’altra è una messa alla prova e una sperimentazione nel contesto reale di ciò di cui si è discusso insieme e anche in questa fase si è nella mente del terapeuta così come il terapeuta è nella mente del paziente.