“Una vita come tante” un romanzo unico dove letteratura e psicologia si uniscono e si alimentano a vicenda.
Il racconto di un trauma con la “T” maiuscola, anzi di una serie di traumi e degli effetti deleteri che questi hanno nello sviluppo di una persona.
Un libro che fa male, che smuove, un testo non per tutti. Il trauma lascia solchi indelebili, ferite che continuano a sanguinare, ma può e deve essere preso in carico. Nel romanzo il protagonista fatica a dar voce al suo vissuto traumatico e lo fa con l’amico e amore della sua vita, ma non con il suo psicoterapeuta.
Cosa sarebbe successo se il dolore e la sofferenza di Jude fossero stati presi in carico già nella sua infanzia, o nella sua adolescenza? Forse convivere con quei ricordi sarebbe stato meno doloroso e avrebbe appreso strategie per stare nel dolore senza esserne sopraffatto. Avrebbe forse imparato che quello subìto nei motel non era amore, che era amabile anche se non vendeva il suo corpo, che infliggersi del male fisico fino a svenire non era la soluzione. Sarebbe stato un lavoro lungo e difficile perché le memorie traumatiche si incancreniscono nell’anima e nella pelle delle persone, ma una possibilità ci sarebbe stata.
“Le stesse immense energie che creano i sintomi di trauma possono, se impegnate e mobilitate opportunamente, trasformare il trauma e spingerci verso nuove vette di guarigione, padronanza di noi e persino saggezza” (Peter A. Levine)